ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 8 novembre 2017

«Zivilisationsbruch»?


FRATTURA DI CIVILTA'                                        
 Il genocidio degli Ebrei è stato un vero «Zivilisationsbruch» una frattura della civiltà? Lo sostengono ormai tutta la cultura ufficiale con la storiografia, la politica, la filosofia e perfino una buona parte della teologia 
di Francesco Lamendola  

 
  
Il genocidio di milioni di Ebrei durante la seconda guerra mondiale ha costituito quella che si può chiamare un vero e proprio «Zivilisationsbruch», una frattura nella storia della civiltà umana?
A sostenere questa tesi non è stato solamente lo storico Dan Diner, nato nel 1946, insegnante al Department of Politics and Government presso la Ben Gurion University del Negev di Beer Sheva e direttore dell'Istituto Simon-Dubnow di storia e cultura ebraica di Lipsia, in Germania, in un suo saggio incluso nella «Storia della Shoah».
E non sono stati solamente quei filosofi che hanno accolto in pieno la sua definizione, come ha fatto Angelo Bolaffi - docente alla Sapienza di Roma - nel suo saggio «La dialettica dell'illuminismo tra Auschwitz e Hollywood», dedicato a confutare «La dialettica dell'illuminismo» di Adorno e Horkheimer (su «MicroMega» n. 5 del 2003).
Costoro lo hanno sostenuto in maniera esplicita; ma, in maniera implicita, a farlo sono tutta la cultura ufficiale, tutta la storiografia, tutta la politica, tutta la filosofia, perfino una buona parte della teologia (per la quale il genocidio degli Ebrei metterebbe in crisi il paradigma del Dio buono e onnipotente: perché, se ha permesso un evento simile, o non sarebbe buono, o non sarebbe onnipotente).

Se così non fosse, non si spiega perché i Parlamenti di Stati quali la Francia, la Spagna, la Polonia, l'Austria, la Svizzera, il Belgio, la Repubblica Ceca, La Slovacchia, la Romania, la Germania, Cipro e il Lussemburgo, abbiano deciso di inscrivere nel codice penale il crimine di negazionismo, intendendo con ciò anche solo una revisione significativa delle cifre fornite dalla maggioranza degli storici sulla realtà del genocidio degli Ebrei e non la negazione che siano avvenuti degli assassinii di massa contro gli Ebrei d'Europa, fra il 1941 e il 1945.
E che non si tratti di misure puramente dimostrative lo dimostra, fra l'altro, la vicenda dell'anziano storico inglese David Irving  (allora sessantasettenne, essendo nato nel 1938), arrestato in Austria come un volgare delinquente l'11 novembre del 2005, condannato a tre anni di reclusione  e rilasciato solo il 21 dicembre 2006, dopo 400 giorni di prigione, in seguito a una nuova sentenza della Corte d'Appello.
Questa legislazione inaudita, che - nel mondo occidentale - non ha equivalenti né precedenti storici, almeno fino al periodo più oscuro della Santa Inquisizione della Chiesa cattolica, si può spiegare solamente con il fatto che il genocidio degli Ebrei sia assurto al rango di un vero e proprio «Zivilisationsbruch», ossia di una frattura nella storia della civiltà umana. Anzi, di più ancora: di una nuova religione. E questo mentre il reato di vilipendio della religione (cristiana), nei Paesi occidentali, è stato di fatto depenalizzato, e solo nei Paesi islamici fondamentalisti si troverebbe qualche cosa di analogo alle leggi liberticide varate dalla Francia, dalla Spagna, dalla Polonia, dall'Austria e dagli altri Stati summenzionati.
Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti e mettiamo bene in chiaro che qui non si tratta di prendere posizione pro o contro la corrente storiografica cosiddetta negazionista, facente capo ad autori quali Jürgen Graf, Paul Rassinier, Carlo Mattogno e il già citato David Irving; bensì di prendere posizione pro o contro la libertà di ricerca e di espressione, valori che la civiltà occidentale ha lottato per secoli per riuscire ad affermare, superando enormi ostacoli e pagando un altissimo costo in termini di sofferenze e di soppressione di vite umane.
Il problema, pertanto, non è - almeno in prima battuta - sapere se le tesi di Rassinier, Irving e Mattogno siano storiograficamente documentate oppure no; ma se è tollerata la libertà, per gli studiosi, di sostenere tesi divergenti da quelle oggi maggioritarie: e quante volte la storiografi ha cambiato opinione? Diciamocelo chiaro e tondo: ogni qualvolta sono caduti dei regimi. Avrebbero potuto liberamente documentarsi sui crimini di Stalin e scrivere libri ed articoli su questo argomento gli storici russi, prima della caduta del regime sovietico?

Dunque, il genocidio degli Ebrei.
La questione - come sempre, nel campo della storiografia non meno che in quello della filosofia - comincia a mostrarsi irta di difficoltà già soltanto sul terreno dei nomi, delle parole.
La maggioranza degli storici parlano oggi, e ormai da vari anni, di Olocausto, con la "o" maiuscola, per definire la soppressione di numerosissimi Ebrei d'Europa durante la seconda guerra mondiale. Il termine deriva dal greco: «holos», «completo», e «kaustos», «rogo», e significa «tutto bruciato», con riferimento alla traduzione greca del termine ebraico con cui si descrivono i sacrifici di animali uccisi e bruciati sull'altare del Tempio.
Si trattava - probabilmente -, nelle intenzioni degli storici internazionali, di un omaggio alla cultura ebraica; ma la comunità ebraica ha fatto sapere di non gradire affatto questo termine, proprio per le sue implicazioni teologiche, ravvisandovi un improprio accostamento delle vittime del genocidio stesso con il concetto religioso di un sacrificio delle vittime sull'altare della divinità. D'altra parte, l'olocausto non è stato completo, perché non tutti gli Ebrei d'Europa sono morti nel corso della seconda guerra mondiale.
È così entrato nell'uso, negli ultimissimi anni, il termine «Shoah», che in lingua ebraica significa «distruzione, desolazione, calamità» e simili; tanto che esso viene ormai adoperato abitualmente un po' da tutti: dagli insegnanti che spiegano la storia ai propri alunni, agli storici di professione, ai politici, ai giornalisti, ecc. In questo caso, l'uso di un termine ebraico sembra essere stato pensato come una sorta di riparazione morale, da parte del mondo intero - colpevole di indifferenza o peggio durante il genocidio - nei confronti del popolo cui appartengono le vittime.
Soprassediamo, in questa sede, sul quesito se un tale popolo esista, cosa che è stata messa in dubbio, anzi esplicitamente negata, proprio da un insigne studioso ebreo, Shlomo Sand: ne abbiamo già parlato nell'articolo «Alcune brevi considerazioni sui concetti di sionismo e antisemitismo»  (sempre sul sito di Arianna Editrice).
Il punto è se sia storiograficamente corretto lasciare che ciascun popolo si «scelga» il termine adatto ad indicare, nel linguaggio scientifico internazionale, una data o un evento particolarmente significativi, o anche particolarmente drammatici, della propria storia.
I Rom, ad esempio, chiamano il genocidio da essi subito, contestualmente a quello degli Ebrei, con il termine «Porajmos» o «Porrajmos», ossia «grande divoramento», o anche «Samudaripen», che significa, appunto, «genocidio». Nessuno storico, tuttavia, si è sentito finora in obbligo di definire il genocidio dei Rom perpetrato dai nazisti con questi termini; né si è visto accusare, esplicitamente o implicitamente, di scarsa sensibilità - se non addirittura di razzismo e simpatie neonaziste - per essersi regolato in tal modo.
Oppure prendiamo il caso degli Armeni, sottoposti a un triplice genocidio nell'arco di neppure un trentennio: nel 1895-96 ad opera del sultano Abdul Hamid; nel 1915-16 ad opera dei Giovani Turchi, e specialmente di Enver Pasciàà; nel 1922-23 ad opera di Kemal Ataürk (ma di quest'ultimo, che coinvolse anche i Greci del Ponto e di Smirne, nessuno parla, forse perché Kemal è considerato il padre della «occidentalizzazione» della Turchia e, dunque, non sarebbe buona politica parlarne poco meno che in termini  ultra elogiativi).
In lingua armena, il genocidio da essi subito, e specialmente quello più sistematico, ossia del 1915-16, è chiamato «Medz Yeghem», espressione traducibile con "il Grande Male". Tuttavia, nessuno storico lo ha adottato; forse anche perché il governo turco è tuttora (quello sì, ma nessuno propone misure punitive contro di esso; anzi, sembrano fare tutti a gara per facilitarne l'ingresso nella Comunità Europea) ferocemente negazionista, al punto che, in Turchia, parlare di genocidio degli Armeni è un reato punito con il carcere. Perfino il papa Giovanni Paolo II, quando si recò in visita pastorale nella Repubblica Armena (non in Turchia), evitò di parlare di «genocidio», proprio per non esacerbare le relazioni con la suscettibilissima Turchia.
E che dire dei bantu Ova Herero, sterminati deliberatamente dalle autorità militari tedesche in Namibia (allora Africa Sud-Occidentale Tedesca), in base a un preciso «ordine di sterminio» emanato contro di essi dal generale Lothar von Trotha? Ne abbiamo parlato in un libro, ormai da tempo esaurito; e, di nuovo, in un ampio saggio, «Namibia 1904: il genocidio dimenticato del popolo herero», pubblicato sul numero 1 del 2007 della rivista «Il pensiero mazziniano» di Forlì, quadrimestrale dell'Associazione Mazziniana Italiana, pp. 137-171 (e consultabile anche sul sito di Arianna Editrice).
Oppure vogliamo parlare del genocidio dei Tutsi, commesso dagli Hutu in Ruanda nel 1994, nella più completa indifferenza della comunità internazionale, a cominciare dalle Nazioni Unite, nonostante le precise notizie che giungevano in proposito, specialmente da parte di suore e missionari cristiani presenti in quel Paese?

Si potrebbe continuare a lungo.
Quel che vogliamo dire è che, se ogni popolo che ha subito un evento calamitoso, e sia pure atroce come un tentativo di genocidio, volesse che gli storici adoperino un termine da loro scelto e nella lingua di ciascuno di essi, sarebbe necessario un vocabolario per orientarsi nella selva dei vocaboli stranieri.
No: i termini della storia li stabiliscono gli storici: così è sempre stato, anche davanti ad eventi particolarmente tragici e luttuosi come lo è stata, ad esempio, la scoperta delle Americhe, se guardata nell'ottica delle popolazioni amerindie che vennero letteralmente decimate dall'aggressione europea (anche di tipo batteriologico) del XV e XVI secolo.
Non si tratta di mancanza di rispetto per le vittime; tutt'altro. Alle vittime di ogni crudeltà insensata, e tanto più alle vittime di un genocidio, va sempre il rispetto incondizionato di qualunque essere civile, storici compresi. Ma i criteri della storia e perfino il suo vocabolario non possono essere continuamente modificati per offrire un risarcimento morale non alle vittime, ma ai connazionali e ai discendenti delle vittime.
Si dice che quello degli Ebrei è stato un genocidio così tremendo, come la storia moderna non ne ha mai visti; anzi, si dice che esso è stato l'unico vero genocidio della storia moderna - lasciamo perdere quella antica, ove la politica genocidiaria era prassi comune non solo degli imperi, come quello assiro o quello romano, nei confronti di popolazioni ritenute pericolose ed inassimilabili, ma anche dei piccoli Stati e dei piccoli popoli, come fecero appunto gli antichi Ebrei a danno dei Cananei, dei Filistei, degli Amorrei che abitavano la Palestina prima di essi.Anche di ciò abbiamo già avuto occasione di parlare (cfr. F. Lamendola, «Quello degli Ebrei è stato l'unico genocidio della storia?», consultabile anch'esso sul sito di Arianna Editrice).
Non è vero che quello degli ebrei sia stato l'unico genocidio della storia, nemmeno della storia moderna: questo è quanto lo Stato d'Israele e gli ambienti sionisti vorrebbero far credere - anzi, vorrebbero imporre - alla comunità internazionale, come una sorta di verità religiosa e che, in quanto tale, sarebbe blasfemo mettere in discussione.
Ma, si obietterà, se non è stato l'unico, è stato però il più grande.
In termini assoluti, sembra di sì (per quanto  quello degli Armeni non sia probabilmente inferiore, nei suoi tre tempi successivi, ai 3 milioni di vittime, e dunque si collochi su un ordine di grandezze comparabile); ma non in termini relativi, ossia facendo il rapporto fra il numero totale dei membri di ciascun popolo e il numero complessivo delle vittime.
Gli Ova Herero, nel 1904, erano 80.000 individui, comprese le donne e i bambini; nel 1907 erano ridotti a circa 20.000; dunque, i morti furono 60.000, vale a dire i tre quarti della comunità. Mentre le vittime del popolo ebraico, anche accettando le stime più elevate (dai 6 ai 7 milioni e mezzo di persone) furono non più di un terzo della comunità totale a livello mondiale.
Anche nel caso degli Armeni, la percentuale relativa delle vittime è stata più elevata di quella degli Ebrei; e altrettanto dicasi per i Tutsi del Ruanda.

Ci sentiamo profondamente imbarazzati a maneggiare queste cifre in un modo che può apparire poco rispettoso, mentre siamo perfettamente consapevoli che ogni vita umana possiede un valore inestimabile e che, sotto il profilo morale, il dramma vissuto dagli Ebrei d'Europa durante la seconda guerra mondiale ci apparirebbe egualmente tremendo, anche se il numero delle vittime fosse stato inferiore di dieci o venti volte a quello effettivo.
Non esistono giustificazioni per una politica di sterminio, né sul piano politico e militare, né - tanto meno - sul piano etico.
Tuttavia, proprio per ribadire il sacrosanto rispetto dovuto a tutte le vittime, non è accettabile istituire una sorta di «primato» fra i popoli che, nella storia recente, hanno sofferto - e, non dimentichiamolo, continuano a soffrire, come nel caso dei popoli neri del Sudan meridionale - politiche di sterminio deliberati da parte di governi criminali.
Il genocidio degli Ebrei è stato un vero «Zivilisationsbruch», una frattura della civiltà?

diFrancesco Lamendola Articolo d’Archivio

Del 07 novembre 2017


Già pubblicato su Arianna Editrice il 15/01/2009
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COMPLOTTISMO E SIONISMO         

Più che complottismo è sionismo? Dietro a Isis e attentati c'è un piccolo gruppo di persone, tra le più potenti del mondo, che hanno l’obiettivo di terrorizzarci per metterci l’uno contro l’altro e accumulare più potere e ricchezza 
di Cinzia Palmacci  

  
Chi non avesse ancora capito che dietro l’ISIS si nasconde l’élite sionista mondialista, dovrebbe leggere e diffondere questo articolo per formare una massa critica di persone informate e consapevoli dei veri burattinai che muovono i fili di un’organizzazione terroristica creata artatamente per diffondere il panico, e attraverso questo, consolidare il loro potere e controllo globale. Secondo l’esperta di terrorismo Amaryllis Fox gli attentati e l’ISIS “Sono solo eventi studiati e prodotti da un piccolo numero di persone su entrambi i lati, che servono a convincere il resto del mondo ad uccidersi a vicenda, al fine di accumulare una grande quantità di potere e ricchezza”. In pratica per Amaryllis il terrorismo è un false flag. Il messaggio diffuso che dietro il terrorismo mondiale ci siano delle vere e proprie organizzazioni come l’Isis o al Qaeda, è solo un lavaggio del cervello. Le agenzie militari e di intelligence occidentali diffondono questo messaggio al fine di convincere le masse che c’è una costante minaccia terroristica. La verità secondo Amaryllis è che dietro a tutto ciò c’è un piccolo gruppo di persone tra le più potenti del mondo che hanno l’obiettivo di terrorizzarci per metterci l’uno contro l’altro (cristiani contro musulmani). Lo scopo principale di questa piccola ma potentissima élite sarebbe quello di accumulare ancora più potere e ricchezza. 
Il secondo scopo invece è quello di far accettare all’opinione pubblica terrorizzata un unico governo di entità mondiale per combattere il terrorismo. Ipotesi suffragata anche dall’ex Ministro degli esteri britannico Robin Cook: “La verità è che non c’è nessun esercito islamico o gruppo terrorista chiamato Al-Qaeda, qualsiasi agente dei servizi segreti informato lo sa. Ma, c’è una campagna di propaganda per far credere al pubblico, in presenza di una entità intensificata che rappresenta il ‘diavolo’ solo al fine di guidare telespettatori ad accettare una leadership internazionale unificata per una guerra contro il terrorismo. Il paese dietro questa propaganda sono gli Stati Uniti”. Per Omar al-Jabouri, un musulmano sunnita di 31 anni che abita in un quartiere principalmente sciita di Baghdad: “È chiaro a tutti che lo Stato Islamico sia una creazione degli Stati Uniti e di Israele. L’Isis è una creazione israelo/americana, un fatto evidente come il sole. Non importa per quale nome si facciano passare – Isis, Isil, Is, Daesh – il gruppo è stato deliberatamente ingegnerizzato dagli Stati Uniti ed Israele, per perseguire alcuni obiettivi geopolitici. Sono una organizzazione di terroristi religiosi, fondamentalisti, Sunniti, creata per terrorizzare e rovesciare alcune nazioni arabe Sciite, come la Siria e l’Iraq, ma non si tratta di una organizzazione solamente islamica”. Secondo quanto riportato dal sito tapnewswire,quelli dell’ISIS possono essere islamici, e possono patrocinare lo stato islamico, ma stanno lavorando molto per raggiungere gli obiettivi del Sionismo. Agenzie segrete come il Mossad e la Cia ne tirano i fili. Le prove? Isis è l’acronimo di Mossad: Isis non sta per stato islamico di Iraq e Siria, ma per Israeli Secret Intelligence Service (servizi segreti di intelligence israeliani). E’ solo un altro modo per descrivere il Mossad, la losca agenzia il cui motto è “attraverso l’inganno, puoi portare la guerra”. L’americana Dia (agenzia di intelligence della Difesa) è una delle 16 agenzie militari di intelligence americane. Sulla scorta di un documento trapelato, ottenuto da Judicial Watch, la Dia scrive, il 12 agosto 2012 che: “...c’è la possibilità di instaurare un Principato Salafita, dichiarato o meno, nella Siria dell’est (zone di Hasaka e Der Zor) e questo è esattamente ciò che vogliono i poteri che supportano l’opposizione, di modo da isolare il regime siriano...”. I “poteri che supportano l’opposizione” si riferisce all’Arabia Saudita, la Turchia, e i Gcc (i paesi della cooperazione del golfo), nazioni come il Qatar, che sono supportati, in cambio, dall’asse americano-inglese-israeliano nella loro battaglia per spodestare il presidente siriano Assad. Come ha sottolineato anche il Syrian Ground War, gli Stati Uniti stanno appoggiando le nazioni Sunnite, mentre la Russia, la Cina e l’Iran quelle Sciite, per cui esiste un potenziale che le cose sfocino in una terza guerra mondiale. Prima che la Russia entrasse militarmente in Siria, gli Stati Uniti reclamavamo il fatto che essa fosse attaccata dall’Isis, sebbene la Russia fosse capace di fare in pochi mesi ciò che gli Usa non sono stati capaci di fare in anni. Perché, l’esercito americano è a tal punto incapace, oppure questa è una ulteriore prova che gli Usa hanno finanziato e sostenuto l’Isis per tutto questo tempo? Ci sono stati vari rapporti che ai soldati americani sia stato ordinato di non colpire obiettivi Isis, anche se avessero una chiara visione dei nemici. Inoltre, il fatto strano e sospetto che l’Isis non abbia mai attaccato Israele, può indurre a pensare che l’Isis sia effettivamente controllata da Israele. Se l’Isis fosse stato il frutto di una rivolta indipendente e genuina che non era stata segretamente orchestrata dagli Stati Uniti e Israele, perché mai non avrebbero dovuto tentare di attaccare il regime sionista, che ha attaccato all’incirca tutti i vicini stati musulmani, a partire dall’anno del suo insediamento, il 1948? 
Israele ha attaccato l’Egitto, la Siria e il Libano, e naturalmente ha decimato la Palestina. Israele ha sistematicamente provato a dividere e conquistare i suoi vicini arabi. Ancora, quando l’Isis è comparsa sulla scena come una organizzazione terroristica islamica, barbarica e sanguinaria, apparentemente non ha avuto problemi con Israele e non ha individuato motivi per occuparsi di un regime che ha perpetrato una dose massiva di ingiustizie contro gli Islamici. Un’altra chiave in omaggio che l’Isis è una creazione Usa/Israele è che il gruppo israeliano SITE (Search for International Terrorist Entities) è spesso fra i primi a trovare e a rendere pubblici alcuni video di finte decapitazioni dell’Isis. Ma più delle considerazioni fatte finora, quella che sembra avvalorarle tutte è che il capo dell’Isis Al-Baghdadi è nato da genitori ebrei ed è un agente del Mossad. Il vero nome di Abu Bakr al-Baghdadi è Simon Elliott. Colui il quale viene chiamato semplicemente “Elliott” è stato reclutato dall’israeliano Mossad ed è stato addestrato in spionaggio e guerra psicologica contro gli arabi e la società islamica. Questa informazione viene attribuita ad Edward Snowden. Infine, si consideri questo: perché è sempre l'ISIS la scusa perfetta per ulteriori interventi militari in Medio Oriente? Infatti, come altro avrebbero fatto gli Stati Uniti e Israele a conquistare il Medio Oriente senza il loro scagnozzo chiamato ISIS?   

PIU’ CHE COMPLOTTISMO E’ SIONISMO

di Cinzia Palmacci Del 08 Novembre 2017
Neturei Karta International: Ebrei uniti contro il sionismo
La questione palestinese: la posizione degli Ebrei ortodossi antisionisti
Domande & Risposte
D – E’ vero che i Neturei Karta appoggiano la sovranità palestinese su tutta la Terra Santa? 
R – La nostra risposta è inequivocabilmente Si. Comunque la risposta ha bisogno di qualche precisazione. Noi siamo un’organizzazione ortodossa antisionista: la nostra opposizione al sionismo si articola su vari livelli.
1) L’ideologia sionista costituisce una trasformazione dell’ebraismo da religione e spiritualità a nazionalismo e materialismo.
2) Il sionismo si è macchiato di gravi colpe nel trattamento del popolo palestinese.
3) L’Onnipotente ci ha espressamente proibito di ricreare la nostra identità nazionale durante questo nostro esilio da Lui ordinato. 
4) La creazione di uno stato in Palestina nega la natura Divina della punizione dell’esilio del popolo ebraico e cerca di porre rimedio a una condizione spirituale con mezzi materiali.
5) Il sionismo ha dedicato molte delle sue energie a sradicare la tradizionale fede ebraica.
D –Qual’è la vostra posizione? 
R – Noi chiediamo, senza compromessi, lo smantellamento pacifico dello Stato di ‘Israele’. La decisione di permettere o meno agli Ebrei di rimanere in Terra Santa dopo la conclusione di tale processo di smantellamento dipende interamente dai leader e dal popolo palestinese.
D –Non temete le possibili conseguenze per gli Ebrei che vivono in Terra Santa? 
R –In realtà, noi temiamo di più per gli Ebrei che si trovano nella condizione attuale, una condizione senza speranza. Dopo quasi settant’anni, numerose guerre, continue azioni terroristiche e antiterroristiche, con la morte di civili innocenti da ambo le parti, non c’è alcuna soluzione in vista. Sia la destra che la sinistra israeliana hanno miseramente fallito nel loro tentativo di correggere questa situazione. Noi offriamo un’alternativa a quello che si è rivelato un tragico esperimento.
D –Ma, gli Ebrei non hanno diritto a una loro patria? 
R – Nessun Ebreo fedele alla propria religione ha mai creduto, nei 1900 anni di esilio del nostro popolo, di doversi riprendere la Terra con un’azione militare. Tutti hanno creduto invece che, alla fine dei tempi, quando il Creatore deciderà di redimere l’umanità intera, allora tutti i popoli si uniranno per adorarLo. Sarà quello un periodo di fratellanza universale, che avrà il suo centro spirituale nella Terra Santa. Fino a quel momento il popolo ebraico ha un particolare compito durante l’esilio.
D – E qual è tale compito? 
R – Accettare con fede il proprio esilio e, nelle parole e nei fatti, agire in modo da diventare modello di comportamento etico e di spiritualità, e il tutto con atteggiamento semplice ed umile. In altre parole, compiere la volontà dell‘Onnipotente attraverso lo studio della Torah, la preghiera e un comportamento retto.
D – Come vedete il popolo palestinese? 
R – E’ la vittima della cecità morale del movimento sionista e del suo rifiuto ostinato di prendere in considerazione l’esistenza di altri popoli. I Palestinesi hanno diritto alla propria patria. E hanno diritto a un risarcimento finanziario per tutti i danni e le perdite subite negli ultimi decenni.
D –Quali sono state le vostre azioni in tale ambito? 
R – Con l’aiuto dell’Onnipotente, noi spesso pubblichiamo dichiarazioni a sostegno di rivendicazioni palestinesi e in solidarietà con Ie loro sofferenze. Noi ci siamo uniti ai Palestinesi in proteste contro le violenze e gli abusi di cui sono stati vittime. Abbiamo cercato in genere di mantenere una presenza pubblica sia nel mondo ebraico che in quello islamico cosicché la venerabile tradizione ebraica di una opposizione religiosa al sionismo non fosse dimenticata. Per questo noi speriamo che, con l’aiuto dell’Eterno, la millenaria via della Torah possa ancora una volta prevalere in un futuro non lontano.
D –Cosa pensate dei negoziati di pace, Annapolis, Road Map, accordi di Oslo e simili tentativi? 
R – Ogni sostegno per le sofferenze del popolo palestinese costituisce una piccolo vittoria ed è prova di una coscienza morale che ogni Ebreo dovrebbe avere. Tutti questi tentativi comunque, seppure dettati da buone intenzioni, sono destinati a fallire, in quanto agli Ebrei è proibito esercitare una sovranità politica sulla Terra Santa.
Compito degli Ebrei è cercare la pace con tutti i popoli e non esercitare oppressione su nessun essere umano. Per tutte queste ragioni gli Ebrei sono obbligati a reintegrare i diritti dei Palestinesi e liberare la Palestina tutta. L’impresa sionista è destinata –a livello metafisico – a fallire sia sul piano morale che su quello pratico.
D – Quale dovrebbe essere l’atteggiamento ebraico nei confronti del mondo islamico? 
R –Gli Ebrei debbono comportarsi in modo onesto e umano verso tutti i popoli. Il sionismo ha indotto molti Ebrei ad atti di aggressione contro il popolo palestinese. E’ pertanto compito di tutti gli Ebrei correggere per quanto possibile questa situazione cercando la pace, la riconciliazione e il dialogo con il popolo palestinese e con il mondo islamico in genere. Questa è una delle grandi sfide spirituali del popolo ebraico: stabilire un rapporto morale con i propri fratelli musulmani.
D – Realisticamente parlando, pensate che il vostro programma sia realizzabile? 
R – Per prima cosa va detto che il Creatore governa questo nostro mondo: a Lui tutto è possible e verità e giustizia alla fine prevarranno.
Secondo, esiste un profondo senso di disillusione e stanchezza fra gli Ebrei di tutto il mondo riguardo allo Stato d’Israele e al sionismo in generale. Molti si rendono conto che seguire i principi del sionismo porta a un vicolo cieco dopo l’altro. Si desidera una diversa soluzione. La nostra soluzione, che si fonda sull’antica tradizione ebraica, appare sempre più plausibile a molti e può, in un futuro non lontano – e con l’aiuto dell’Eterno – rivelarsi la soluzione decisiva. 
Fino a quel momento noi speriamo e preghiamo che non ci siano altri spargimenti di sangue, né tra gli Ebrei, né tra gli Arabi. Aspettiamo ansiosamente il giorno in cui molti arriveranno a comprendere che la via per la pace si trova nel ritorno del popolo ebraico alla propria missione nell’esilio, cioè servire l’Eterno e vivere con integrità ed onestà. Sarà quello il giorno in cui si realizzerà finalmente il sogno espresso nelle nostre preghiere: “Tutte le nazioni si uniranno per compiere il Tuo volere nell’integrità dei loro intenti” E, nelle parole del Salmista, (102: 23) “Nazioni e governi si uniranno per servire l’Onnipotente.” Possa ciò accadere presto, durante le nostre vite. Amen. 
NKI è un Ente Morale (non-profit) ebraico religioso, impegnato a pubblicizzare le posizioni antisioniste degli Ebrei ortodossi di tutto il mondo, i quali si oppongono fermamente allo Stato d’Israele e alle sue azioni. I NKI viaggiano per il mondo allo scopo di partecipare a manifestazioni e conferenze, al fine di parlare in varie occasioni sulla opposizione di sionismo ed ebraismo. I portavoce dei NKI sono disponibili a parlare a convegni e presso università di tutto il mondo, come pure ad essere intervistati alla radio o alla televisione.
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Trad. Massimo Mandolini Pesaresi
Neturei Karta International 
Jews United Against Zionism 
P.O.B. 1316 Monsey, New York 10952 
Tel: (914) 262-8342 (USA) 
Fax: (845) 371-4291 
Europe Tel\Fax: 
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E-M ail: info@nkusa.org 
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