ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 5 maggio 2017

Sono un ladro?


Nessuna resa e nessuna rinuncia

Rompo il silenzio che mi ero imposto perché mi ha colpito uno dei commenti che ho letto nella mia pagina facebook. Ha scritto un lettore: “A volte senti la rinuncia come la cosa più facile da fare. Ma la cosa più facile non ha mai prodotto qualcosa di più che un giardino di erbacce” (Richelle E. Goodrich). Lo stesso lettore, condividendo il mio post, ha scritto: “Un'altra arresa! La battaglia è appena incominciata e già…”.

Confermo quello che ho scritto: non si può combattere contro i mulini a vento. Dovevo aggiungere “da soli”, perché questa è la mia storia. Perché io ho combattuto e sto combattendo da solo, insieme a mia moglie e a mio figlio.

Alla maggior parte del mondo cattolico, questa mia storia andava bene – gli “piaceva”, perfino - quando mi faceva scrivere sui suoi giornali e sulle sue testate on line o mi invitava per raccontare la “favoletta” della conversione di uno che ha lavorato con Pannella. Ero quasi un fenomeno da baraccone.

Quando questo mondo cattolico ha compreso che si trovava di fronte uno che pensa, è iniziato l’ostracismo e l’isolamento.
Sono mancati gli inviti alle conferenze, salvo qualche eccezione, sono stati sottratti gli articoli – che costituivano piccoli lavori per chi non possiede nulla, neanche una macchina – sono mancate le recensioni ai libri, che il convertito ha continuato a scrivere.

Alcuni, hanno perfino detto che sono un ladro. Così come sono stato condannato dai tribunali perché i radicali mi hanno accusato – senza avermi fatto un benchè minimo rilievo in 10 anni di Tesoreria e dopo aver aperto la causa per oltre 20 anni di lavoro a prestazione occasionale, che ho regolarmente perso, senza ricevere né, liquidazione, né contributi, né pensione - di aver rubato 200mila euro (i miei stipendi, sui quali ho pagato le tasse, che i radicali conoscevano dai bilanci che presentavo e che venivano approvati dai congressi, in giurisprudenza si chiama “consenso dell’avente diritto”), così per loro – questi cattolici - sono un delinquente, un avanzo di galera. Costoro devono sapere che la condanna a 10 mesi con pena sospesa e non menzione, per me non è un’infamia, è un onore, perché è stata data da giudici di questa terra, ma io l’ho offerta al mio unico Giudice, che è in Cielo.

Ma perché costoro (questi cattolici) hanno detto che sono un ladro? Perché li ho smascherati. Ho fatto nomi e cognomi dei loro “compagni di merende”, che mentre si vantavano di essere cattolici, addirittura in Parlamento, firmavano gli appelli perché la radio di Pannella introitasse 10 milioni di euro all’anno di danaro pubblico, in base ad una legge dello Stato italiano. Fate i conti di quello che significa anno dopo anno incassare questo denaro. Se quel denaro non ci fosse stato, non ci sarebbero state le leggi anti-umane prodotte dall’ideologia radicale. Per questo, quei parlamentari sono complici di quell’ideologia. Ma questo si deve celare. Si deve occultare. “Ci si deve accontentare di quello che si ha”, mi ha detto il direttore di una testata cattolica on line. “Nel nostro mondo non si deve dire la verità, altrimenti non la inviteranno più da nessuna parte”, mi ha detto un illustre cattedratico cattolico. “Sputo nel piatto in cui mangio”, mi ha detto un altro cattolico.

Io non appartengo alla cultura mafiosa. La aborro. Ad essere invitato a convegni dove non si deve dire la verità, non ci tengo. Non sono “compagno di merende” di alcuno, se quel qualcuno mi chiede di tacere. Perché a me fanno paura l’Inferno e il Purgatorio. Forse più il Purgatorio dell’Inferno. E credo che esistono.

Quindi, per timore del giudizio di Dio, l’ho detta la verità sulle Marce per la Vita o sui Family Day in cui si invitavano quegli stessi parlamentari, su Adinolfi che in assemblee pubbliche ringrazia Radio Radicale che manda in onda il suo convegno, sui cattolici che hanno compiuto e compiono a iosa crimini e peccati mortali divorziando e abortendo e che hanno costituito il “ventre molle” sul quale l’ideologia pannelliana ha potuto operare.

Poi, l’avanzo di galera quale io sono, ha detto la verità sul papa che ha definito Emma Bonino (responsabile di concorso nel reato di quasi 11mila aborti, quando l’aborto era un reato, in base agli atti di un processo che non si è mai celebrato perché nel frattempo lei ha ottenuto l’immunità parlamentare) la “grande italiana”, in linea con il popolo cattolico che la vorrebbe Presidente della Repubblica, in base ai sondaggi.

Ho detto la verità sul papa, che tramite mons. Vincenzo Paglia, fa pervenire a Pannella, qualche giorno prima della sua morte, una medaglietta e il suo libro sulla misericordia, facendo credere a tutto il mondo che il leader radicale si è convertito. Sul suo portavoce di allora, padre Lombardi, che sostiene che occorre fare i conti con “l’eredità umana e spirituale di Pannella”. Su Eugenia Roccella e Gaetano Quagliariello, che in Parlamento, commemorando la morte di Pannella, fanno il panegirico sul suo metodo e sulla sua “lezione”. Su Massimo Gandolfini che dice di Pannella: “Ho un ricordo sul piano umano molto buono e molto bello”.

Per dire queste e molte altre verità, nel mio primo libro su Bergoglio, “Ancilla hominis”, ho perso due anni fa l’unico lavoro che avevo. “Buona fortuna” mi ha scritto l’allora direttore dell’Agenzia Sir, che conoscevo da quando eravamo ragazzi e che mi aveva imposto di scrivere con lo pseudonimo oltre 300 articoli in tre anni.

Altri ostracismi sono arrivati quando mi sono permesso di scrivere che di fronte alla dissacrazione che ogni giorno viene compiuta da Bergoglio della Parola di Dio (dissacrazione che certamente porterà a breve ad una punizione) – conseguenza di un “mandato” di cui è corresponsabile quasi l’intera gerarchia ecclesiastica, che tace e acconsente - mi sembrava fuori luogo concentrarsi su Amoris Laetitia e “inseguire” dichiarazioni su “correzioni pubbliche” che sembrano provenire da una genia molto diffusa: quella di coloro che lanciano il sasso e nascondono la mano, per non produrre nulla. Solo fumo.

Confermo: da soli, non si può combattere contro i mulini a vento.

Questo non significa rinunciare o arrendersi. Significa prendere semplicemente atto che si è soli. Che l’accanimento non è solo dei “nemici”, ma anche e soprattutto degli “amici”, di coloro che, ad esempio, informati, non hanno detto una parola – salvo isolate eccezioni – su un avanzo di galera che si trova di nuovo sotto processo per aver scritto in uno dei suoi 6 libri (finora) e oltre 2mila articoli, 2 parole che hanno dato fastidio a un radicale. Le parole sono “servo sciocco” in un libro in cui io stesso mi definivo “servo di…”.

Io, rinviato a processo, mentre del radicale che accompagna a morire le persone, il pubblico ministero chiede l’archiviazione del caso.

Allora, lo dico a coloro che manifestano la loro solidarietà, che comprano i miei libri, che vengono alle conferenze che riesco a tenere, che scrivono messaggi, che hanno partecipato con generosità concreta alla campagna “Io sto con Danilo”, lo dico a coloro che mi vogliono bene come io ne voglio a loro, l’avanzo di galera continuerà a combattere. Lo farà umilmente, anche per coloro che tacciono, che non s’indignano, che “tutto va bene, madama la marchesa”. E lo farà anche per i suoi nemici, perché Nostro Signore mi obbliga ad amarli ed io non mi sottraggo a questo comandamento.

Come mi scrive un carissimo amico sacerdote, l’importante è non lasciarsi andare, ma rimanere saldi, fermi, fondati nella fede e nella fiducia. Giorno per giorno, quasi vedendo crollare in continuazione le cose, demolite dalla rabbia di Satana, ma poi risollevate dalla pazienza e dalla fede.


Cappato-Dj Fabo: cosa succede ad abbandonare i princìpi non negoziabili

Dopo la puntuale analisi di Tommaso Scandroglio pubblicata ieri, vale ancora la pena ritornare sulla richiesta di archiviazione avanzata dai pubblici ministeri nei confronti del leader radicale Marco Cappato, responsabile del suicidio assistito di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo. Il Giudice delle indagini preliminari (Gip) infatti, potrebbe ancora respingere questa richiesta: cosa non molto probabile ma certamente auspicabile.
Il fatto è che se si accetta l’introduzione nella giurisprudenza di principi quali il “diritto alla dignità” si compie un altro bel balzo verso la barbarie. Quello che infatti viene presentato sotto la veste positiva di un diritto individuale maggiormente rispettoso della dignità umana, nasconde in realtà la concezione per cui ci sono vite indegne di essere vissute, concetto che ci riporta direttamente al nazismo e ai suoi progenitori, ovvero le Società eugenetiche sviluppatesi nel mondo anglosassone e nord europeo a partire dall’inizio del ‘900.

La dignità citata dai pubblici ministeri (Pm) infatti fa esplicito riferimento alle condizioni di sofferenza dovute a malattie non necessariamente terminali: il malato o chi per lui, in prima istanza, è chiamato a decidere se quella vita sia degna o meno; in realtà sappiamo benissimo dall’esperienza di altri paesi che a decidere quando una vita sia degna è poi inevitabile che sia il potere.

È quello che succede quando si rinuncia a difendere i princìpi non negoziabili, in primis la vita. Chi afferma, anche tra i cattolici, che tutti i valori sono uguali e che non bisogna fissarsi sul diritto alla vita, se non ha ancora capito dopo la legge sull’aborto, quella sulla fecondazione assistita e l’ultima sulle unioni civili, dovrebbe almeno riflettere sulle motivazioni dei Pm che vogliono archiviare la posizione di Cappato. I princìpi non negoziabili non sono valori su cui una parte di cattolici sono ossessionati; sono invece il fondamento della società, di ogni società. Se si intaccano questi princìpi tutto l’edificio viene giù. Ed è quello che sta accadendo in Occidente.

Se il diritto alla vita non è assoluto, è giocoforza che a decidere della dignità della vita di ciascuno sia il potere, che abbia la forma dello Stato o meno. E infatti si allarga sempre più la fascia di popolazione che rientra tra le vite indegne: si è cominciato con i bambini appena concepiti, si è andati avanti con gli embrioni scartati nei procedimenti di fecondazione artificiale, ora si procede con l’eutanasia: prima con i malati terminali, poi si allargherà per comprendere tutta quella fascia improduttiva di popolazione che in una società sempre più vecchia e in crisi economica, diventa un fardello insostenibile.
A proposito di eutanasia, se si lasciano passare così le motivazioni dei Pm, avremmo una giustizia che è già andata molto più avanti della legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) attualmente in discussione in Parlamento. Si tratterebbe di un precedente cui potranno richiamarsi altri giudici per forzare, come da copione, la legge sulle Dat, qualsiasi sia il testo che verrà approvato.
Al riguardo si può notare che siamo di fronte alla solita battaglia dei radicali - quelli che qualche prelato incensa – che, quando è in discussione una legge che riguarda le loro campagne per i diritti (in)civili, alzano il tiro con qualche caso clamoroso. In questo caso ne ha fatto le spese Dj Fabo, ma il gioco di Cappato ha avuto ancora una volta successo. Potendo contare su magistrati fiancheggiatori, Cappato ottiene un pronunciamento giudiziario che con il suicidio assistito sdogana anche l’eutanasia.

La vicenda però dimostra anche qual è la vera ratio della legge sulle Dat: checché ne dicano i cattolici avveniristici, qualsiasi legge sulle Dat (anche fosse più restrittiva di quella attualmente in discussione) rappresenta una porta aperta sull’eutanasia. È solo questione di tempo. Cappato e i Pm di Milano hanno solo dato un’accelerazione.
di Riccardo Cascioli04-05-2017


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