ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 27 maggio 2017

La più ostacolata delle richieste della Madonna a Fatima


Mosca, Benedetto XVI e la consacrazione della Russia


La consacrazione richiesta è al contempo un riconoscimento dell’importanza che la Russia continua ad avere nel piano di Dio per la pace e un segno di profondo amore per i nostri fratelli e sorelle in Russia. Certo, il 25 marzo 1984 papa san Giovanni Paolo II ha consacrato il mondo, inclusa la Russia, al Cuore Immacolato di Maria. Ma oggi, ancora una volta, udiamo l’appello di Nostra Signora di Fatima a consacrare la Russia al suo Cuore Immacolato in accordo con le sue esplicite istruzioni (cardinale Raymond Leo Burke – Roma, 19 maggio 2017).

Incredibile. Una delle voci più autorevoli della Chiesa Cattolica del nostro tempo, alla presenza di un qualificato pubblico internazionale, lo ha affermato senza mezzi termini: la più ostacolata delle richieste della Madonna a Fatima è più che mai attuale. Fra le righe, si insinua che la consacrazione del mondo effettuata da Giovanni Paolo II nel 1984 non abbia corrisposto pienamente alle esplicite istruzioni della Vergine: che la Russia fosse nominata e che l’atto coinvolgesse tutti i vescovi. Il motivo che gli aveva impedito di ottemperare al requisito principale fu rivelato dal Papa stesso, in una conversazione privata, al cardinale Paul Josef Cordes, come quest’ultimo ha rivelato il 13 maggio scorso in una conferenza a Karaganda, in Kazachistan: «Per lungo tempo, ovviamente, il Papa si era occupato della significativa missione che la Madre di Dio aveva affidato ai tre piccoli veggenti. Tuttavia si trattenne dal menzionare esplicitamente la Russia perché i diplomatici vaticani gli avevano chiesto con insistenza di non menzionare quel Paese, perché altrimenti sarebbero forse scoppiati conflitti politici».


C’è più di un motivo a dimostrare l’attualità, se non l’urgenza, di tale consacrazione. Gli americani, con una politica estera apparentemente schizofrenica, stanno facendo di tutto per provocare i russi ad una guerra che avrebbe effetti disastrosi, per la prima volta nella loro storia, anche sul territorio degli stessi Stati Uniti. Per quanto appaia assurdo, il conflitto, oltre a rimettere in moto un’economia stagnante e a rimescolare le carte di un debito estero che è una voragine, avrebbe altresì lo scopo di fermare l’unica potenza che si stia opponendo al diabolico progetto di transumanesimo con cui i signori dell’alta finanza intendono assoggettare l’umanità snaturandola. Ma i russi hanno nervi saldissimi e di solito non cominciano le guerre, bensì le portano a termine, quasi sempre a proprio vantaggio. Ci vuol poco a capire che il nostro Paese, con le basi militari che ospita, si troverebbe dalla parte sbagliata e potrebbe averne a soffrire non poco.

A questa considerazione di ordine terreno, tuttavia, in questi giorni se n’è aggiunta una di ordine religioso. Germano Dottori, esperto di geopolitica ad alto livello, ha ipotizzato che le pressioni internazionali che avrebbero spinto Benedetto XVI alla rinuncia siano dovute, fra l’altro, alla sua decisa opera di avvicinamento al Patriarcato di Mosca. Una saldatura ecclesiale con l’ortodossia russa avrebbe avuto, per il nuovo ordine mondiale, pericolose ripercussioni ben al di là dell’ambito puramente spirituale. Bisogna dire che la rivista che ha ospitato questo intervento appartiene allo stesso gruppo editoriale (diretto da De Benedetti) del quotidiano che più ha infangato il Pontefice tedesco con ripetute campagne diffamatorie – mentre sta esaltando a più non posso il successore argentino. C’è un interesse nascosto oppure, semplicemente, il “nuovo corso” si è ormai talmente consolidato che possono permettersi di scoprire sfacciatamente le carte? Come che sia, la Russia torna prepotentemente sulla ribalta anche per questo.

In fin dei conti, anche questo accanimento politico contro quel Paese, sebbene in senso inverso, è un riconoscimento dell’importanza che la Russia continua ad avere nel piano di Dio per la pace... importanza affermata, paradossalmente, proprio da un cardinale americano. È quanto mai urgente, quindi, consacrarla al Cuore Immacolato di Maria, così che possa svolgere il compito assegnatole dal Cielo. A farlo potrebbe essere un papa spirituale, quell’uomo di silenzio e di preghiera che il Pontefice dimissionario ha di recente caldamente elogiato nel testo scritto per lultimo libro del Cardinale guineano... un’indicazione in codice per il prossimo conclave? Robert Sarah potrebbe piacere ai nostri fratelli orientali proprio perché umile e profondo uomo di Dio; riprendendo nella liturgia il filo interrotto della riforma della riforma, che tanto ha contribuito al riavvicinamento, potrebbe prenderli per il verso giusto, mostrando anche a noi cattolici il primato di Dio e della trascendenza. Sogni ad occhi aperti? Non è mai detto...

Al fine di «bloccare la riconciliazione con lortodossia russa, pilastro religioso di un progetto di progressiva convergenza tra lEuropa continentale e Mosca», secondo Dottori, sarebbe stata ordita «una macchinazione complessa». Ciò non significa necessariamente che le dimissioni di Benedetto XVI non siano state libere e che siano quindi invalide: forti pressioni esterne possono convincere una persona a compiere un atto in modo forzato anche senza esser privata della sua libertà; è quel che succede quando qualcuno prende una decisione come lunica via percorribile o la meno dannosa. È quanto meno curioso che – come riportavamo qualche mese fa – Ettore Gotti Tedeschi sia stato convocato in Vaticano solo quattro giorni prima dell’annuncio delle dimissioni per essere informato che il Papa voleva reintegrarlo alla guida dello IOR; in quel lasso di tempo dev’essere quindi accaduto qualcosa che ha spinto il Pontefice al passo a lungo meditato. In ogni caso – come ci ha confidato un ex-allievo del professor Ratzinger, oggi eremita – chi lo conosce da vicino sa di quali ardite sottigliezze è capace la sua mente: che la rinuncia all’esercizio attivo del ministero contenga davvero una distinzione che a noi comuni mortali sembra impossibile?

Se Benedetto XVI ha veramente mantenuto nome, abito e stemma per una ragione ben precisa, si comprende meglio, allora, perché il suo successore, a Fatima, si sia presentato come vescovo vestito di bianco: sarebbe in sostanza un vescovo come gli altri che si distingue solo per la veste e per una giurisdizione che lo pone al di sopra degli altri? Ma l’essenza del primato petrino è proprio la suprema potestà di governo... Si può forse scindere una potestà puramente amministrativa dal significato teologico dell’ufficio di Sommo Pontefice? Proprio in questa direzione è sembrata andare la sorprendente conferenza di monsignor Georg Gänswein, che il 20 maggio dell’anno scorso ha definito quello del suo mentore un pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat), con una probabile allusione ad una nozione giuridica (Ausnahmezustand) conosciuta nel diritto romano come dictatura: per far fronte a una minaccia straordinaria, si prendono misure eccezionali che comportano la sospensione parziale dellordinario funzionamento dello Stato. Ovviamente si tratta di un’analogia che deve tener conto del carattere peculiare di quell’organismo spirituale che è la Chiesa.

Lidea di un “papato allargato” o di una “mutazione” del primato romano (che dopo Benedetto XVI non sarebbe più lo stesso) non è certo condivisibile, è anzi quanto mai sospetta. Che il Papa teologo abbia potuto operare una distinzione così sottile da non rinunciare completamente al suo ufficio, tuttavia, non sembra più poi tanto peregrino e corrisponde, in fondo, a ciò che il cuore ci ha sempre suggerito. Il sensus fidei del popolo cristiano, cui si appellano tanto i novatori, avrà pure il suo peso, almeno in quella parte del popolo che ha ancora la fede... Il “luogotenente”, anche se sta agendo da perfetto amministratore delegato della controchiesa che si è infiltrata in quella vera per liquidarla, in realtà non è altro che lo strumento della Provvidenza per far venire allo scoperto apostati e traditori, in modo che li si possa facilmente spazzare via, quando sarà il momento... magari con una mano russa.

Nel maggio del 2010 si verificò un avvenimento che, a distanza di tempo, sembra svelare un significato ben più profondo di quello che si poté scorgere allora: il metropolita Hilarion di Volokolamsk, numero due del Patriarcato di Mosca, venne a Roma accompagnato da un’imponente coro e orchestra per offrire un concerto al Pontefice musicista. Nel discorso che gli rivolse, auspicò che si mettessero da parte le controversie dottrinali per cercare un’intesa e una collaborazione sul piano pastorale. Dato che il principale motivo di divergenza con gli ortodossi è proprio il modo di concepire il primato petrino, in quel momento mi sembrò una goffaggine ben poco diplomatica. Visti però il peso che gli orientali danno alle questioni dogmatiche e la portata simbolica dei loro gesti, l’alto prelato non avrà invece inteso dare un segnale ben preciso della disponibilità dei russi ad una riconciliazione? Certo – diremmo noi – non un accordo a buon mercato che passi sopra ai nodi cruciali, ma forse (se così volesse il Cuore Immacolato) unna riunificazione fondata meno su vincoli giuridici e più sul vincolo della carità. È vero che il governo di uno solo è il fondamento visibile dell’unità: ma non si potrebbe pensare a una potestà suprema riconosciuta soprattutto per l’autorevolezza morale e spirituale, come nel primo millennio? Quello sì che sarebbe un vero rinnovamento.



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