ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 6 maggio 2017

Argentini si diventa..

1517-2017:500 anni di sovversione protestante
                

Dalla messa di Lutero alla messa di Paolo VI






La rivoluzione teologica di Lutero

La teologia di Martin Lutero è nata dalla sua angoscia. Invece di basare la sua vita spirituale in cerca equilibrio sugli insegnamenti della sacra dottrina, Lutero fa al contrario: «Egli trasforma i suoi bisogni in verità teologiche e il suo personale stato di fatto in legge universale della natura umana» (1). Il centro della teologia non è più Dio – chi Egli è e cosa vuole da noi – ma Lutero che cerca l’assicurazione della sua salvezza.

Lutero vuole sentirsi in stato di Grazia; errore capitale, perché la grazia è soprannaturale. Essa è oggetto della fede e non può ordinariamente essere sperimentata né dai sensi né dall’intelligenza. Ci sarà sempre, qui sulla terra, del chiaroscuro nella relazione tra l’uomo e Dio: è questa la difficoltà, ma anche la grandezza della vita cattolica.

Il monaco agostiniano non ha capito, o non ha voluto capire, questa tensione purificatrice voluta da Dio. Cercando una certezza che non è di questo mondo, egli ha finito con l’infrangere le certezze soprannaturali concesse a questo mondo.

Si conoscono le due tappe del suo declino:

- Innanzi tutto la disperazione, nel constatare la sua impotenza davanti al peccato: egli sopravvaluta la forza del peccato originale e le sue conseguenze.
- Poi, la grande inversione: la famosa «esperienza della torre» - le latrine del convento – dove, a mezzanotte, egli ha l’improvvisa illuminazione della salvezza per la sola fede. La fede sola, perché tutte le nostre opere sono dei peccati. Essi possono solo essere ricoperti dai meriti di Cristo, così da non esserci imputati: e questo sarebbe lo stato di grazia. E allora, per Lutero ecco infine la pace, la certezza e la consolazione dell’anima.

Tutto questo è stato possibile solo al prezzo di un radicale capovolgimento. Lutero conserva le parole della rivelazione cristiana (fede, grazia, salvezza, giustificazione, ecc.), ma dà ad esse un senso totalmente nuovo. La fede non è più l’adesione alla verità rivelata, ma una sorta di fiducia cieca. La redenzione si realizza per la sola azione divina, senza alcuna partecipazione, alcuna collaborazione umana.

Questa rivoluzione teologica doveva necessariamente arrivare fino alla liturgia, e in particolare al cuore della liturgia: il santo Sacrificio della Messa.

Applicazione alla teologia della Messa

Per Lutero, lo stato di grazia cessa di essere una realtà nell’anima per divenire una finzione giuridica: la non imputazione dei peccati. Finzione che sarebbe quella ottenuta da Cristo con la Sua Croce. E qui c’è un primo abbassamento del Sacrificio della Croce: impotente a guarire l’uomo dal peccato esso vale solo come «mantello» dei meriti di Cristo per coprire le nostre mancanze. Ma questo  mantello dev’essere trovato, e questo è compito della »fede». E questa fede ha come oggetto essenziale la promessa di Cristo di nascondere i nostri peccati agli occhi del Padre. Per beneficiarne, basta avere fiducia in questa promessa.

Lo snaturamento del Sacrificio redentore di Cristo comporta il pari snaturamento della Messa, che secondo l’insegnamento costante della Chiesa è la permanenza del Sacrificio del Calvario. La doppia consacrazione del pane e del vino realizza il Mysterium Fidei: il vero Corpo e il vero Sangue di Nostro Signore, immolati sacramentalmente, rendono presente l’unico Sacrificio della Croce, applicandocene i frutti. Lungi dal restare esteriori a questo Sacrificio, tutti i cristiani sono chiamati ad integrarvisi. Ma nel sistema luterano questo non è più possibile.

Per Lutero, non vi è vera remissione dei peccati, ma solo la promessa divina di non imputarceli. Questa promessa è stata ottenuta al momento del Sacrificio di Cristo e basta credervi per beneficiarne. Il solo ruolo della Messa è dunque quello di ricordare questa promessa. La celebrazione ci aiuta ad ottenere, per mezzo della fede-fiducia, il mantello che ci viene offerto.

Per Lutero, Messa = promessa

Lutero insegna:

Si crede che la messa sia un sacrificio offerto a Dio. Ora, nel corso dell’ultima cena [Gesù] ha consegnato a noi il suo testamento e cioè la sua promessa. Egli non l’ha consegnato a Suo Padre (2).

E ancora:

La messa è la promessa che Dio ci ha fatto di rimettere i nostri peccati. Questo significa che non è l’uomo l’autore della propria salvezza, ma Dio con la Sua promessa (3).

Conseguenza logica:
E’ un errore evidente ed empio offrire o applicare la Messa per dei peccati, delle soddisfazioni o per i defunti… La Messa sarebbe offerta da Dio all’uomo e non dall’uomo a Dio (4).

Nella Messa ci sarebbero fondamentalmente due cose: la promessa divina e la fede umana, la seconda che riceve ciò che promette la prima.

Contro il Sacrificio

Ciò che era sacramento diventa così un semplice eccitante per la fede. La nozione di Sacrificio sparisce. Al limite, Lutero ammette un sacrificio nel senso improprio, quello della preghiera e della penitenza, ma mai un sacrificio propiziatorio. Si commemora il Sacrificio della Croce, ma non si sacrifica, perché altrimenti avremmo un altro sacrificio che farebbe concorrenza al Sacrificio della Croce.
Il santo Sacrificio della Messa è per Lutero un sacrilegio e perfino il peggiore dei sacrilegi; esso è bersaglio di attacchi furiosi:
L’elemento principale del loro culto, la messa, supera ogni empietà e ogni abominazione, ed essi ne fanno un sacrificio e un’opera buona. Se non ci fossero altri motivi per abbandonare la tonaca, per uscire dal convento, per rompere i voti, questo solo basterebbe ampiamente (5).

Un’opera buona! La rabbia di Lutero è al colmo, poiché il suo sistema non può ammettere le opere buone: l’uomo, interamente corrotto, è incapace di presentare a Dio una sola azione che possa piacerGli; tutte devono essere ricoperte dal mantello di Cristo. E invece la Chiesa romana pensa solo a moltiplicare le Messe:

I miserabili preti a messa con le confraternite che erigono per guadagnare denaro, con le messe che dicono per i morti e per i vivi, non fanno altro che ingannare il popolo di insensati e condurli con loro all’inferno, appropriandosi del loro denaro e dei loro beni con le loro menzogne. E’ in questo che sta il fondamento segreto e nascosto di ogni cosa. Tutti sanno perché sono stati inventati i vescovi, le canoniche, i conventi e tutto il regno dei preti: per dire la messa, e cioè per l’idolatria più odiosa che ci sia sulla terra (6).

E la Presenza Reale?

All’inizio, è il carattere sacrificale della Messa, più che la presenza di Gesù nell’Eucarestia, che Lutero attacca. Ma se la Messa sarebbe solo una promessa, che ne sarà di Gesù Cristo che è una persona e non una promessa?

Stretto dalla logica, il protestantesimo deve evolvere verso la totale negazione della Presenza Reale. Calvino riconosce solo più una presenza simbolica. Lutero ammette ancora una certa presenza reale, ma cambiandone più volte la spiegazione.
Egli parla spesso dell’“impanazione” (il Corpo di Cristo nel pane consacrato). Insegna che Cristo è presente durante la cerimonia, ma insieme al pane e al vino – che restano pane e vino – e unicamente durante la Messa. Autorizza un’elevazione in certi casi, per i deboli (7), ma combatte risolutamente la fede cattolica nella transustanziazione (cambiamento totale della sostanza del pane e dei vino consacrati, nella sostanza di Gesù Cristo, tale che realmente non c’è più né pane né vino, ma solo le loro apparenze esteriori).
Egli scrive:

Nella transustanziazione bisogna vedere l’artificio di un’opinione umana che non trova appoggio né nella Scrittura né nella ragione.

E sprezzando tutti i Padri della Chiesa (che senza impiegare esattamente il termine transustanziazione hanno affermato la stessa realtà), Lutero osa pretendere:

Per più di 1200 anni la Chiesa stessa ha professato correttamente la sua fede. In nessun posto i santi Padri hanno pensato a questa transustanziazione (termine e concetto stravaganti), fino a quando la pseudo filosofia di Aristotele si è messa ad invadere la Chiesa (8).

La messa di Lutero

Alla nuova religione serviva una nuova messa. Ma Lutero conserva un certo buon senso. Malgrado la sua passione distruttrice, egli procede con precauzione, evitando soprattutto di andare troppo svelto. Egli ha appreso dalle esperienze e dagli scacchi dei suoi discepoli durante la sua reclusione nel castello di Wartburg.

Per agire prudentemente bisogna partire dalla situazione esistente – una liturgia cattolica – e fare evolvere le cose un po’ la volta, evitando di scandalizzare inutilmente i semplici. Qui la «prudenza» si confonde con la dissimulazione. Un lavoro da illusionista gli permette di far passare al protestantesimo degli interi gruppi, senza che le persone se ne rendano conto veramente. Lutero e i capi dei riformati hanno appreso subito, quasi per istinto, la tecnica rivoluzionaria che consiste nel conservare le apparenze svuotandole di ogni contenuto (9).

Nel 1526, Lutero compone la sua Breve esposizione della messa e della comunione, utile strumento per condurre la riforma. Ecco un riassunto di questo documento di 12 pagine (10):

1. Si conserverà l’Introito delle domeniche ed anche quello di Pasqua, Pentecoste e Natale.
2. Si conserverà il canto del Kyrie Eleison e del Gloria, ma con la possibilità di sopprimerli in certi giorni.
3. La Colletta viene conservata se ciò che si chiede non contraddice il sistema luterano. E’ soppressa l’invocazione dei santi.
4. Si potrà cantare l’Epistola di San Paolo e il Vangelo, ma vengono soppresse le sequenze e le glosse intermedie.
5. Si conserverà il canto del Credo, dopo il quale si fa la predica.
6. Vengono soppressi l’Offertorio e il Canone, elemento principale della riforma e principale preoccupazione di Lutero:
Dichiariamo in primo luogo che non è mai stata nostra intenzione abolire interamente tutto il culto di Dio, ma solo di purgare quello che è in uso, da tutte le aggiunte che lo hanno contaminato: parlo di questo abominevole Canone, che è una raccolta di carenze melmose; si è fatto della messa un sacrificio; si sono aggiunti degli offertori. La messa non è un sacrificio o l’azione del sacrificatore. Guardiamola come sacramento o testamento. Chiamiamola benedizione, eucarestia o tavola del Signore o cena del Signore o memoria del Signore. Le si dia ogni altro titolo che si vorrà, basta che non la si sporchi col nome di sacrificio o di azione (11).
7. Dopo il Credo, si prepara il pane e il vino. Segue il dialogo prima del prefazio e si passa direttamente alla consacrazione.
8. E’ mantenuta l’elevazione del pane e del calice (a causa dei deboli nella fede) mentre si canta il Sanctus e il Benedictus.
9. Si recita il Pater noster, con l’omissione del Libera nos.
10. La Pax vobis viene considerata come una sorta di assoluzione collettiva dei peccati.
11. La comunione è data sotto le due specie, mentre di canta l’Agnus Dei.
12. L’antifona alla comunione è facoltativa; il postcommunio è soppresso. Al pari dell’Ite missa est che è sostituito dal Benedicamus Domino seguito dalla benedizione.

La trasformazione è radicale: non si tratta più del Sacrificio della Messa, ma di una cena eucaristica che commemora la Cena del Signore.
Tuttavia, agli occhi dei fedeli, i cambiamenti sono minimi, perché le parti più visibili del rito sono mantenute, al pari dei canti. Lutero insiste molto sui canti, che contribuiscono alla sensazione di gioia e alla pacificazione della coscienza. Al tempo stesso, fa adottare la lingua volgare. Ma non vuole affrettare le cose, egli sa dissimulare i suoi obiettivi e non esita a minimizzare la sua iniziativa. A proposito della sua Breve esposizione della messa e della comunione egli scrive, accattivante:

Innanzi tutto, supplico amichevolmente […] tutto quelli che vogliono esaminare o seguire il presente ordinamento del servizio divino, di non vederlo come una legge obbligante e di non lasciarsi affascinare. Che ciascuno l’adotti quando, dove e come gli pare. Così vuole la libertà cristiana (12).

Il Concilio di Trento

Le novità protestanti saranno solennemente condannate al Concilio di Trento. La dottrina del Santo Sacrificio della Messa viene definita nella XXII sessione, nel 1562:

E poiché in questo divino sacrificio, che si compie nella messa, è contenuto e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si offerse una sola volta in modo cruento sull’altare della croce, il santo sinodo insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio, e che per mezzo di esso, se con cuore sincero e retta fede, con timore e rispetto, ci accostiamo a Dio contriti e pentiti, possiamo «ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento propizio». Placato, infatti, da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpre, anche le più gravi. Si tratta, infatti, di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi.
I frutti di questa oblazione – cioè di quella cruenta – vengono ricevuti in abbondanza per mezzo questa – incruenta – tanto è lontano il pericolo che con questa si possa in qualche modo sminuire quella. Per questo motivo giustamente, secondo la tradizione degli apostoli, essa viene offerta non solo per i peccati, le pene, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati. [DS 1743].

Per ben manifestare il carattere obbligatorio, e dunque infallibile, di questo insegnamento, i canoni anatemizzano quelli che lo rifiutassero:

Can. 1 – Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero  e proprio sacrificio, o che essere offerto significa semplicemente che Cristo ci viene dato in cibo: sia anátema [DS 1751].
Can. 3 -  Se qualcuno dice che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non un sacrificio propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non dev’essere offerto per i vivi e per i morti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità: sia anátema. [DS 1753].

E per proteggere la tradizione liturgica contro gli eretici, Pio V restaura, codifica ed impone il rito romano della santa Messa. La sua bolla Quo primum oppone alle deviazioni una barriera che sembra invalicabile.

Dalla cena protestante alla messa ecumenica

Tuttavia, quattro secoli dopo, la messa di Lutero ha innegabilmente influenzato la fabbricazione della nuova messa, detta «messa di Paolo VI».
Il Padre Annibale Bugnini, esecutore della riforma liturgica, ha chiaramente confessato che di questo si è trattato:

per facilitare ai nostri fratelli separati il cammino dell’unione, scartando ogni ostacolo che avrebbe potuto costituire anche solo l’ombra del rischio di una pietra d’inciampo o di un dispiacere (13).

Paolo VI stesso ha confidato al suo amico, lo scrittore Jean Guitton, che la sua intenzione di cambiare la Messa veniva dal desiderio di un riavvicinamento con i protestanti. Guitton testimonia:

L’intenzione di Paolo VI su ciò che è comunemente chiamata la Messa, era di riformare la liturgia cattolica in modo tale che potesse coincidere con la liturgia protestante. Vi era in Paolo VI l’intenzione ecumenica di togliere, o almeno di correggere, o almeno di affievolire, ciò che era troppo cattolico in senso tradizionale nella Messa e, lo ripeto, avvicinare la Messa cattolica alla Messa calvinista (14).

Si andava a mutuare il cammino liturgico già percorso dai protestanti, mettendo avanti un’altra intenzione: non più eretica (rigetto della dottrina cattolica sulla Messa), ma ecumenica: favorire l’unità dei cristiani. Tuttavia, l’intenzione, per quanto possa essere rassicurante, non cambia nulla dello sbocco di tale cammino.



Non solo i novatori hanno ripreso il cammino di Lutero, ma hanno chiamato i suoi eredi a collaborare alla confezione della nuova messa: è nota la celebre fotografia nella quale Paolo VI è in posa con i pastori protestanti: George, Jasper, Shephard, Konneth, Smith e Max Thurian, invitati ad assistere ai lavori della commissione che approntava la nuova liturgia.

Il 3 aprile 1969, il Papa Paolo VI firmava la costituzione apostolica Missale Romanum, promulgando il Messale Romano rinnovato per ordine del concilio ecumenico Vaticano II. L’obiettivo ecumenico era raggiunto, poiché numerosi protestanti dichiararono di poter celebrare la santa Cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica: «Teologicamente, è possibile», affermò Max Thurian, della comunità di Taizé (15).

Il 19 novembre 1969, in un’allocuzione, Paolo VI concedeva che l’introduzione del nuovo rito era «qualche cosa di sorprendente, di straordinario, essendo considerata la Messa come espressione tradizionale e intangibile del nostro culto religioso, dell’autenticità della nostra fede
E precisava: «Ma sia ben chiaro: nulla è mutato nella sostanza della nostra Messa tradizionale», e concludeva: « Non diciamo dunque “nuova Messa”, ma piuttosto “nuova epoca” della vita della Chiesa» (16). I cattolici che volevano essere rassicurati, lo furono. Tuttavia, ne La Croix del 10 dicembre 1969, Jean Guitton riferisce di aver letto in «una delle più importanti riviste protestanti» la seguente affermazione: «Le nuove preghiere eucaristiche cattoliche hanno abbandonato la falsa prospettiva di un sacrificio offerto a Dio»; mentre da parte sua il priore di Taizé dichiarava:

Da parte mia, ho la certezza che nel nuovo ordo missae la sostanza della messa è la stessa di quella che è stata vissuta e pregata prima. Paolo VI ci dà la stessa rassicurazione. Ma quello che crea problemi per il cattolico normale è questo: com’è possibile che i cambiamenti della Messa siano secondari per i cattolici e al tempo stessi siano essenziali per i protestanti? Il Papa ci ha detto che la nuova messa è la Messa di sempre, semplicemente liberata dalle aggiunte superflue, operate nei secoli. E questa è anche l’opinione di studiosi benedettini, peraltro ritenuti integristi (17).

In effetti, la nuova liturgia non ha soppresso quel minimo richiesto per la validità della Messa: la doppia consacrazione. Dunque, se si vuole, vi si può ritrovare la sostanza della Messa cattolica. Ma questi «studiosi benedettini, ritenuti integristi» (ci vuol poco per esserlo, soprattutto agli occhi dei protestanti), si son presi la pena di comparare la nuova messa con quella di Lutero? L’hanno comparata con quella dell’anglicano Cranmer (18)? Avrebbero constatato le sorprendenti somiglianze che vanno sempre nella stessa direzione:

- eliminazione di tutto ciò che esprime chiaramente la natura sacrificale della Messa (e soprattutto il suo carattere propiziatorio);
- soppressione di tutto ciò che ricorda un po’ troppo chiaramente la distinzione essenziale tra il sacerdote (che offre il sacrificio in quanto ministro di Cristo) e i fedeli che si uniscono al sacrificio;
- infine, indebolimento di tutto ciò che mette in risalto la transustanziazione operata nelle due consacrazioni.

La messa di Paolo VI non è chiaramente protestante, ma essa è alleggerita da tutto ciò che proteggeva il significato cattolico del rito. Essa è ambigua. Piuttosto che volerla interpretare a tutti i costi in maniera cattolica, gli «studiosi benedettini, ritenuti integristi» avrebbero dovuto ricordare che si tratta di ambiguità analoghe a quelle che, nel XVI secolo, hanno fatto scivolare nell’eresia i fedeli di Germania, Svezia, Danimarca, Norvegia, Inghilterra, ecc.

Comparazione dei riti

Numerosi lavori, più o meno dettagliati, hanno analizzato i problemi suscitati dalla nuova liturgia (19). Qui ci limitiamo a ricordare alcuni elementi che avvicinano la nuova messa alla cena protestante:

1) Abolizione dell’orientamento dell’altare, che diventa solo una semplice tavola (in contraddizione con l’enciclica Mediator Dei).
2) Soppressione del doppio Confiteor, che distingueva chiaramente il sacerdote, ministro di Cristo, dai fedeli.
3) Soppressione di molte preghiere che mostravano il carattere propiziatorio del Sacrificio: Aufer a nobis, Offerimus tibi, ecc.
4) Nuova organizzazione delle letture, subordinando l’aspetto liturgico all’aspetto catechetico.
5) Soppressione dell’Offertorio.
Al posto della preghiera tradizionale:
Accetta, Padre Santo, onnipotente eterno Iddio, questa Ostia immacolata che io, indegno servo tuo, offro a Te Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me e loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen.
Si ha oggi una preghiera ebraica per la benedizione della tavola, che elimina le idee di sacrificio e di propiziazione:
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (vino), frutto della terra (vite) e del lavoro dell'uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna (bevanda di salvezza).
6) Moltiplicazione delle «preghiere eucaristiche», al posto del venerabile Canone romano che Lutero odiava e che il Concilio di Trento lodava: DS 1745 e 1756.
7) Recitazione della “preghiera eucaristica» ad alta voce (contro la prescrizione del Concilio di Trento:

«Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa romana, secondo il quale parte del Canone e le parole della Consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da condannarsi; o che la Messa dev’essere celebrata solo nella lingua del popolo; […] sia anátema» (DS 1759).
8) Soppressione della distinzione tra il modo narrativo e il modo intimativo nelle formule della Consacrazione, ecc.

Basta comparare il novus Ordo di Paolo VI alla «Breve esposizione» di Lutero o alle subdole riforme dell’anglicano Cranmer (20), per rimanere colpiti dalla similitudine delle procedure.

La differenza

Tuttavia, tra la rivoluzione liturgica del XVI secolo e quella del XX, la situazione non è identica. La messa di Lutero era concepita per permettere ai ministri «riformati» di cambiare con discrezione la religione del popolo ingenuo. La nuova messa di Paolo VI, più sfumata, è rivolta innanzi tutto ai ministri, per cambiare a poco a poco la loro fede e la loro intenzione nella celebrazione della messa. Questo processo più sottile non sarebbe riuscito in un contesto di rivolta aperta contro l’autorità di Roma, come avvenne nel protestantesimo, ma è riuscito nel contesto del processo rivoluzionario interno alla Chiesa post-conciliare, perché è stato incoraggiato dalla stessa autorità della Roma ormai occupata dai modernisti.

Nelle conseguenze si trovano ancora delle importanti differenze: nel protestantesimo si è verificato un frazionamento puro e semplice, che ha generato confessioni e autorità senza numero; nel cattolicesimo si è verificato un disorientamento dottrinale inaudito e un grande spirito di indipendenza, e questo senza bisogno di abolire l’autorità romana, la quale peraltro non viene più esercitata veramente, rimanendo così al suo posto come per garantire la supposta legittimità del processo (21).

Per finire, citiamo il ben noto ma sempre impressionante giudizio dei cardinali Ottaviani e Bacci:

«… il Novu Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero» (22).

Non è per caso che questi grandi uomini di Chiesa hanno sottolineato l’opposizione tra la nuova messa e gli insegnamenti del Concilio di Trento che condannò Lutero. I decreti tridentini colpiscono contemporaneamente sia la messa di Lutero sia la messa di Paolo  VI. L’una e l’altra devono essere fermamente rigettate in quanto derivanti dalla stessa fonte avvelenata. Sia col modo protestante, sia col modo modernista, la sovversione anti-cattolica ha prodotto lo stesso cambiamento radicale dell’asse religioso: Dio rimpiazzato dal genere umano (23). Sia con l’uno, sia con l’altro modo, la sovversione si è mossa con le stesse calcolate ambiguità e gli stessi scivolamenti successivi.

Si comprende quindi perché Mons. Lefebvre ha raccomandato di restare accuratamente alla larga dalla Chiesa conciliare.



NOTE

1 – Jacques Maritain, Trois Réformateurs [Lutero, Cartesio e Rousseau], Paris, Plon, 1925, p. 14.
2 – Citazione tratta dall’opera di Lutero: De la captivité Babylonienne de l’Église, in Oeuvres complete de Luther, t. 2, ed. Labor et fides, p. 178 ss.
3De la captivité Balylonienne de l’Église, ed. Labor et fides, ibid.
4 – Citato da Léon Cristiani, Du luthéranisme au protestantisme, 1910, p. 176.
5 - Citato da Léon Cristiani, Du luthéranisme au protestantisme, 1910, p. 258.
6 – Cfr. Luther, Werke, t. III, pp. 522 ss.
7 - Si veda Bossuet, Histoire des variations des Églises protestantes.
8 – Citazione tratta dall’opera di Lutero: De la captivité Babylonienne de l’Église, in Oeuvres complete de Luther, t. 2, ed. Labor et fides, p. 178 ss.
9 – Su questi procedimenti ingannevoli si veda Jacques Maritain, Trois Réformateurs, Parigi, Plon, 1925, pp. 246-247 (nota 10).
10 – Noi si appoggiamo a Ricardo Villoslada, Martin Lutero, Madrid, BAC, 1976, t. II, pp. 98-99.
11 – Lutero (Werke, t. XI, p. 774).
12 – Cristiani, ibid, p. 314.
13 – Annibale Bugnini, DC n. 1445 (1965), col. 604.
14 – Jean Guitton, al dibattito organizzato da Lumière 101, giornale radio della domenica di Radio Courtoisie, 19 dicembre 1993, sul libro di Yves Chiron, Paul VI, le pape ècartelé.
15 – Si veda il giornale La Croix, del 30 maggio 1969.
16 - Udienza generale del 19 novembre 1969 - http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1969/
documents/hf_p-vi_aud_19691119.html

17 - Riportato da Louis Salleron ne La Nouvelle messe, Parigi, NEL, 1976, p. 122.
18 – Si veda Michael Davies, La riforma liturgica anglicana, tradotta a cura di Radicati nella Fede - http://radicatinellafede.blogspot.it/p/la-riforma-liturgica-angicana-pdf.html
19 - Per una sintesi, si veda per esempio il cap. 7 - «La nuova messa» - del Catechismo della crisi nella Chiesa, di Don Matthias Gaudron, ed. Ichthys, Albano Laziale.
20 – Il primo Prayer Book anglicano (1549) soppresse l’offertorio, modificò il canone e adottò la versione luterana del racconto dell’istituzione: il sacrificio propiziatorio passò sotto silenzio, ma non venne esplicitamente negato. Si trattò di una prima tappa. Quando il libro fu accettato dappertutto, venne pubblicato un secondo Prayer Book, nettamente più protestante. Si veda Michael Davies, La riforma liturgica anglicana, cit.
21 – Il che fa capire la grande sottigliezza, ma anche la grande malizia del processo che viviamo attualmente, così bene definito da Mons. Lefebvre come «Il colpo da maestro di Satana»: l’introduzione dei princípi rivoluzionari nella Chiesa cattolica ad opera delle stesse autorità della Chiesa.
22 - http://www.unavox.it/doc14.htm
23 – Denifle ha notato che già in Lutero, «il culto di Dio si riversa interamente in un culto dell’uomo. Nei confronti di Dio, l’uomo non esiste; non può rendergli alcun culto, e Dio non gli chiede né opere, né doni; l’uomo può avere un qualche valore o svolgere una qualche attività solo in relazione al suo prossimo, e al massimo pensando qualche poco a Dio (Citato da Jacques Maritain, Trois Réformateurs, p. 255, nota 20).

di Padre Joachim F.B.M.V.

Pubblicato su Le Sel de la terre n° 99 - inverno 2016-2017

Le immagini nel testo sono nostre






 
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1976_Le_Sel_Messa_di_Lutero_7.html


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