La nuova Chiesa ha confezionato un Manifesto che riassume in modo mirabile la “filosofia”, la morale, le idee, l’orizzonte culturale e speculativo mediaticamente diffusi e già fatti propri dalla società del terzo millennio, con la quale viene a sottoscrivere così anche ufficialmente l’atteso Concordato. Con sagace pragmatismo utilizza e ratifica, per il manufatto, anche un lessico adeguato all’operazione: quel nuovo esperanto psico-sociologese già da tempo adottato in parrocchia e in vescovado, funzionale alla omologazione al nuovo mondo globale e alla sua rassicurante indigenza culturale.
di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
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Ovviamente il linguaggio è il carro su cui si trasportano le idee. E queste, che sono poche, senza luce di pensiero e quindi senza speranza di produrre alcunché di buono, segnano perfettamente il cammino suicidario della società e di questa Chiesa mimetica.
Il repertorio lessicale è quello ormai famigliare in ogni ambiente sacro e profano, ispirato alle rubriche dei rotocalchi di costume: una gamma di parole e di proposizioni limitatissima, che tradisce pateticamente la sottostante vacuità di concetti.
In pole position c’è l’amore, evocato ovunque compulsivamente per ogni uso di cucina e diventato come l’araba fenice che “dove sia ciascun lo dice cosa sia nessun lo sa”. Anche se, a ben pensare, si sa benissimo che vuole essere soltanto la grande panacea da offrire come alibi sicuro per legittimare ogni azione e ogni scelta, e come criterio utile ad assicurare a tutti l’impunità.
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Ovviamente il linguaggio è il carro su cui si trasportano le idee. E queste, che sono poche, senza luce di pensiero e quindi senza speranza di produrre alcunché di buono, segnano perfettamente il cammino suicidario della società e di questa Chiesa mimetica.
Il repertorio lessicale è quello ormai famigliare in ogni ambiente sacro e profano, ispirato alle rubriche dei rotocalchi di costume: una gamma di parole e di proposizioni limitatissima, che tradisce pateticamente la sottostante vacuità di concetti.
In pole position c’è l’amore, evocato ovunque compulsivamente per ogni uso di cucina e diventato come l’araba fenice che “dove sia ciascun lo dice cosa sia nessun lo sa”. Anche se, a ben pensare, si sa benissimo che vuole essere soltanto la grande panacea da offrire come alibi sicuro per legittimare ogni azione e ogni scelta, e come criterio utile ad assicurare a tutti l’impunità.