ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 16 maggio 2014

Testiculos tenemus

La decisione ben motivata e coraggiosa del patriarca maronita Béchara Raï di accogliere il Papa in Terrasanta e alcune sue successive dichiarazioni hanno suscitato forti reazioni in Libano, una precisazione della Santa Sede e una valutazione sul merito dell’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Zion Evrony, Che non ha peli sulla lingua nell’esporre il suo punto di vista.
 Attorno al pellegrinaggio di papa Francesco in Terrasanta si è sviluppata una vicenda particolare di interesse rilevante da diversi punti di vista, sia politico che religioso. Il tutto è nato dalla decisione del patriarca libanese maronita Béchara Raï, annunciata il 2 maggio, di voler essere presente in Terrasanta per “accogliere il Papa”.
Una decisione che legittimamente può essere definita coraggiosa da parte di una personalità lungimirante, di grande spessore e molto dinamica che già nel 2013 aveva sfidato un altro ‘tabù’ libanese andando a Damasco: oggi il patriarca ritiene con buone ragioni di avere il diritto, da pastore di una comunità antica e ben radicata in Terrasanta, di dare anch’egli il benvenuto al Pastore della Chiesa universale.
L’annuncio della decisione ha sollevato forti polemiche in Libano, suscitando aspre reazioni da parte di due grandi quotidiani legati a Hezbollah e anche del gruppo di cristiani (attorno a Michel Aoun) che da tempo collaborano per ragioni politiche con la medesima formazione musulmana. E’ noto che dalla guerra del 1967 mettere piede a Gerusalemme viene considerato usualmente dal mondo arabo come un tradimento della causa, dato che presupporrebbe un implicito riconoscimento della sovranità israeliana sulla Città Santa. Rai però è rimasto fermo sulla sua decisione, rilevando con schiettezza che non si sarebbe fatto imporre la sua agenda da nessuno.
Successivamente, il 6 maggio – mentre le polemiche interne libanesi non si placavano – il patriarca e cardinale libanese ha osservato (fonti: L’Orient le jourAsianews):: “La nostra presenza in Terrasanta è precedente all’esistenza di Israele. Vado a Gerusalemme per dire che questa città è nostra e che la Chiesa maronita è presente sul posto con una comunità di fedeli” (…) Io non accompagno affatto il Papa. Lo ricevo. (…) La mia non è affatto una posizione politica, quanto piuttosto un’attitudine pastorale”. (…) “Io non coltivo rapporti personali con Israele. Io mi reco in visita pastorale a Gerusalemme e in Terrasanta e ho dichiarato in modo esplicito che non desidero incontrare alcun funzionario pubblico o carica istituzionale. Piuttosto, a Betlemme, accanto al presidente Mahmoud Abbas, mi rivolgerò al popolo palestinese per dire: “Avete tutto il diritto di chiedere un vostro Stato, Betlemme vi appartiene” (…) Diremo al presidente palestinese che noi sosteniamo l’emergenza d’uno Stato palestinese e che Gerusalemme è una terra araba. (…)”. Il giorno precedente ( 5 maggio) il patriarca invece aveva detto:  “Sono cosciente che Israele è uno Stato nemico che occupa dei territori libanesi e rispetto le leggi libanesi”.
La decisione è stata commentata dalla Santa Sede attraverso le parole del direttore della Sala Stampa padre Lombardi che l’altro giorno e ancora questa mattina (durante il briefing dedicato al programma del viaggio papale) ha rilevato che il patriarca maronita non fa parte del seguito pontificio, ma è stato invitato – come gli altri patriarchi della regione di rito cattolico orientale – dalla Chiesa cattolica locale. In tale veste, è certo “libero di regolarsi come meglio crede”.
Anche Zion Evrony, ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, ci ha esposto – con molta puntigliosa schiettezza - alcune sue valutazioni sulla decisione e sulle dichiarazioni del patriarca libanese. Rileva il diplomatico israeliano: “Sono sicuro che il Patriarca Béchara Raï sa bene che Gerusalemme era la capitale del Regno di Israele e di Giudea, molto prima che diventasse sacra per altre nazioni e per altre religioni. Essa è diventata di nuovo capitale solo dopo la costituzione dello Stato di Israele. La sua centralità per il popolo ebraico è ben nota a tutti e non c’è bisogno di ulteriori prove”. Prosegue Zion Evrony: “Israele garantisce libertà di religione e di culto a tutti, riconoscendo -allo stesso modo - l'importanza della città di Gerusalemme per cristiani e musulmani”.  La conseguenza? “Diamo il benvenuto all’illustre Patriarca, come a un pellegrino i cui sentimenti per questo luogo sono chiari e verranno rispettati, anche se proviene da un Paese che si definisce nemico di Israele ed in cui prevale un'opinione pubblica ostile ed estremista nei confronti di Israele”. La speranza dell’ambasciatore di Israele? “Speriamo che il Patriarca si concentri più su questioni religiose e spirituali ed intervenga meno negli affari politici.”. Precisa poi Zion Evrony il punto di vista di Israele in materia di confini: “Per quanto riguarda le affermazioni circa i confini del Libano, colgo l'occasione per sottolineare che il Consiglio di Sicurezza nel 2000 ha riconosciuto che Israele soddisfaceva tutti i requisiti dettati dalle Nazioni Unite per rispettare l'integrità territoriale delle frontiere del Libano, e non detiene alcuna terra libanese”. “La presunta occupazione di territori libanesi” è una tesi sostenuta da Hezbollah e “non è condivisa né dalle Nazioni Unite né dalla Comunità internazionale”.
Fatte con indubbia franchezza tali osservazioni (che è lecito naturalmente condividere del tutto, in parte o per niente nell'ambito di una normale dialettica politico-religiosa), l’ambasciatore Zion Evrony ci lascia con una nota di ottimismo che riguarda l’insieme del viaggio apostolico di papa Francesco in Terrasanta: “La visita del Papa è connotata da amicizia e da comprensione reciproca tra le religioni e le nazioni. Speriamo che, in tale spirito, possa contribuire in qualche modo alla riconciliazione, alla comprensione e alla cooperazione tra israeliani e palestinesi”.

di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 15 maggio 2014

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