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giovedì 3 maggio 2012

L'ermeneutica della discontinuità


“Le lacune del Vaticano II cinquant’anni dopo”


Il Concilio Vaticano II
Il Concilio Vaticano II

Intervista a "Vatican Insider" del padre conciliare Giovanni Franzoni, uno degli ultimi protagonisti del Concilio

GIACOMO GALEAZZI CITTÀ DEL VATICANO La Santa Sede si sta concentrando su un’importante avventura: una riflessione sul Concilio Vaticano II, che animi l’Anno della fede e avvii una nuova stagione per il cristianesimo e la chiesa cattolica nel mondo. E chissà che per la rivisitazione dell’eredità del Concilio nella prospettiva dell’Anno della fede l’ex perito conciliare Joseph Ratzinger non abbia in serbo qualche sorpresa. L’ex abate della basilica papale di San Paolo fuori le mura, Giovanni Franzoni (attuale leader delle comunità di base che si riuniranno a Napoli dal 28 al 30 aprile per il loro congresso nazionale annuale) è stato il più giovane padre conciliare e in questa intervista a «Vatican Insider» traccia un bilancio a mezzo secolo dal Concilio.


Per lei che vi ha partecipato, cos’è stato davvero quell’evento religioso? Nel Concilio Vaticano II trova più motivi di rimpianto o di soddisfazione?

«Sono appena tornato da Madrid dove ho tenuto la relazione introduttiva in un incontro internazionale di teologici dedicato proprio al cinquantesimo anniversario del Concilio. Ha suscitato clamore e il quotidiano «El Pais» vi ha dedicato un’intera pagina, la mia tesi controcorrente e cioè che già nei documenti conciliari ci fosse tutta una serie di punti deboli che poi hanno frenato e limitato l’impatto riformatore del Vaticano II».
Perché parla di punti deboli nei documenti del Concilio?


«L’involuzione del Concilio era già scritta in quei documenti che furono appositamente depotenziati per ottenere unanimità nel voto. Tutte le formule come «se i tempi lo consentono si facciano i consigli pastorali», «se il vescovo lo ritiene opportuno» servivano ad accontentare spinte, pulsioni, resistenze degli episcopati più conservatori e restii ad innovare in profondità la Chiesa».



Chi ha frenato il Concilio?
«Gli episcopati che più hanno ostacolato l’azione riformatrice sono stati quelli italiano, spagnolo e brasiliano. I vescovi brasiliani all’epoca non erano ancora di impostazione progressista, come diverranno dopo la storica conferenza dell’episcopato latino di Medellin del 1968. Quando penso alle novità introdotte dal Concilio e mai metabolizzate del tutto mi viene in mente l’immagine del pitone che inghiotte una capra e poi impiega un lunghissimo tempo per digerirla e consumarla lentamente. A Madrid mi sono trovato davanti a forti critiche di molti teologi alla gestione del Vaticano II da parte di Paolo VI, ma io l’ho difeso per la sua strenua difesa della laicità dello Stato in relazione alla religione».



Quali sono i meriti di Paolo VI nella gestione del Concilio?
«Per l’80° anniversario della “Rerum novarum” papa Montini rinunciò a scrivere una sua enciclica sociale e preferì indirizzare una lettera al presidente del Pontificio consiglio “Giustizia e Pace” per elencare dettagliatamente i principali mali sociali attuali e poi concluse in modo originale, come mai nessun Pontefice aveva fatto e cioè ammettendo che “Non abbiamo un risposta” e rimandando agli episcopati locali e agli uomini di buona volontà. Inoltre nell’enciclica “Popolorum progressio”, all’elenco dei danni del capitalismo Paolo VI non affiancò i problemi e gli errori del socialismo, com’era invece consuetudine fare nei documenti del Magistero per dire che anche il socialismo non andava bene. C’è poi un episodio rivelatore dell’attitudine di Paolo VI».



Quale?
«Il patriarca dei Melchiti, Massimo IV aveva deplorato in Concilio come la Chiesa fosse per i poveri, ma li lasciasse nella loro povertà, mentre la Chiesa doveva stare con i poveri. Pochi giorni dopo, ad un pontificale nella basilica di San Pietro, come segno di deferenza verso i poveri Paolo VI all’offertorio si tolse il triregno dalla testa e lo depose a sorpresa proprio sulle ginocchia del patriarca Massimo IV che era seduto in un tronetto vicino a lui. Era il segno che il Pontefice deponeva il potere temporale per essere accanto ai poveri. Poi quella tiara finì in una teca e girò negli Stati Uniti per raccogliere fondi per i poveri, per vederla si pagava un ticket di un dollaro».



Perché tante critiche a Paolo VI?
«Paolo VI era odiatissimo dalla destra. Per anni vicino alla basilica di San Giovanni in Laterano e in altri punti significativi di Roma sono comparse sui muri delle scritte violentissime dei tradizionalisti cattolici contro papa Montini. A mio avviso, però, i suoi errori non furono quelli indicati dai conservatori, bensì quelli commessi su temi quali la morale e il celibato obbligatorio. Nel 1967 papa Montini pubblicava l’enciclica “Sacerdotalis caelibatus nella” quale respingeva ogni ipotesi di cambiamento della legge in vigore. Ma tutti sanno che, da allora, per tutti questi 50 anni, la questione del celibato ha provocato infiniti dibattiti, molto malessere, molta sofferenza. Se il papa avesse lasciato piena libertà al Concilio, forse si sarebbe aperto il varco per una riforma. Anche sulla “Gaudium et spes” il Papa fece un intervento autoritativo che provocò gravi conseguenze. Quando si discusse sui metodi moralmente legittimi per regolare le nascite, numerosi padri (Suenens e Maximos IV tra essi) sostennero che ai coniugi andava lasciata libertà di coscienza; tesi contraddetta da padri meno numerosi ma combattivi».

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